Il ferro nell’arte contemporanea: la storia dell’artigiano Filippo Antonicelli

La tavola da surf preparata dalla sera precedente e la sveglia impostata alle 4.30. Poi? Poi si mette in moto la macchina (o il camper) e si parte. Meno di trenta minuti e da Gioia del Colle, in provincia di Bari, fa capolino già la prima spiaggia, sul versante ionico. Sì, questa città ha questa particolarità: è equidistante dai due mari che bagnano la Puglia. Così, a seconda del vento, si sceglie quale di queste acque si preferisce. 

Filippo Antonicelli ha appena compiuto trent’anni. Il suo nome è lo stesso del santo patrono della sua città. Si fa chiamare Pippo e, di mestiere, fa l’artigiano. Il fabbro, in particolare. Lavora per l’azienda di famiglia, l’Antonicelli Metalmeccanica. E la sua passione è il surf. Quindi, spesso, meteo permettendo, prima di lavorare il ferro, scappa al mare. Un tuffo all’alba; poi si comincia la giornata. Si lavora duro. E, quando si chiude, sempre se il vento lo concede, si va di nuovo in acqua. Specie in quei giorni in cui il mare della Puglia sembra essere quello della California. 

Bastano le quattro ruote di un camper a trasportare in un’altra dimensione.

A volte mi chiedo: ma dove sono? Un giorno ero a Bari a surfare e non sembrava di essere lì. Ci sono giorni in cui il mare è davvero bello e pronto per questo sport, anche non spostandosi dalla Puglia.

Filippo, infatti, ha deciso (non senza ripensamenti e cambi di passo) di vivere qui, nel tacco d’Italia. Dove può scegliere, al mattino, se tuffarsi nello Ionio o nell’Adriatico. E poi cominciare il suo lavoro.

Da lì, tassello dopo tassello, l’attività di Filippo nel campo dell’arte è continuata, facendo il giro della Puglia. Fino all’ultima mostra, a Ceglie Messapica (Brindisi), per la terza stagione della rassegna “Nucré”, nome che rimanda al dialetto pugliese: “nu crè”, infatti, significa “un domani”, allusione e suggestione usata in forma di speranza, di promessa, di destino. Qui, per l’esposizione dal titolo “SpartiAcque”, il team di Filippo ha rappresentato il braccio che ha ricreato in ferro colorato l’idea dell’artista svedese Alexander Gutke: cioè le grandi installazioni di “Big sky blue”, le quali, collocate al piano nobile del castello, nell’ampia sala dei sindaci, hanno aperto il percorso espositivo.”

Filippo, infatti, ha scelto dioccupare un posto nell’azienda di famiglia, fondata cinquant’anni fa da suo nonno.

All’età di 18 anni volevo fare tutt’altro. Volevo viaggiare per il mondo. Invece adesso lavoro per l’azienda di mio padre. E, allo stesso tempo, cerco di innovarla. Cinquant’anni fa mio nonno ha cominciato principalmente realizzando attrezzature agricole. Ora, oltre a seguire percorsi più tradizionali, facciamo anche molto altro, soprattutto nel campo artistico.

Ed è questo il settore che ha dato una nuova linea alla Antonicelli Metalmeccanica, che non scalza  quella precedente, ma la affianca. In particolare da quando è arrivato Filippo e l’uso di AutoCAD è diventato pane quotidiano. 

Spesso di un’opera d’arte si vede il prodotto finito realizzato dalla mente creativa. Ma quel risultato ultimo e prezioso – che sia in ferro o in legno o in vetro – ha dietro un lungo processo: un lavoro di più mani. Quelle, appunto, degli artigiani. Professionisti che, già nella etichetta data loro dal nome, contengono, dal punto di vista etimologico, la parola “arte”.

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